Il filo e l'ombra

Maurizio Vitta

Ogni cosa, si sa, ha la propria ombra che è il suo analogo, un segno che rivela con sorpresa la sua autonomia.

Quando Martinelli ferma l’ombra staccandola dai movimenti del corpo, essa diventa la scoperta della statua interiore che ognuno si fa, via via, partendo dall’età della giovinezza.

Le città greche erano abitate da statue in cui i cittadini trovavano i segni del loro pensiero.

Oggi che la scultura deve farsi perdonare il suo ingombro e l’occupazione di suolo prezioso, Martinelli, prima che scompaia, riveste l’ombra di una maglia di rete che la contiene, fatta com’è di vuoto più che di pieno, come un bicchiere trasparente.

Inutile sottolineare i risvolti antropologici di questa ricerca… L’ombra è la memoria del corpo, ciò che, nella sua inconsistenza, lo radica al mondo. E che nella sua nuova veste leggera e trasparente, le pareti delle città restituiscono in forma di nuovo graffito plastico, come una loro memoria affiorata dai pori della materia.

Le ombre di Martinelli si propongono come la nostra proiezione nell’universo quotidiano, della cui anonimia fissano l’attimo irripetibile.

Ricordano, in fondo, quel fugace personaggio descritto da Pessoa, da guardare “non con l’attenzione disattenta che concediamo alle cose, ma con l’attenzione definitoria che concediamo ai simboli.

Era il simbolo di nessuno; per questo aveva fretta”.