Prima dell’alba la fanciulla di Corinto con la lanterna in una mano e un carboncino nell’altra riprendeva sul muro di casa l’ombra dell’amato in partenza per la guerra, il padre Butade, vasaio di Sicione, ne avrebbe ricavato una stele da porre nel tempio. In quell’ombra il mito pone la nascita dell’arte nella città occidentale che si popola presto di magnifiche statue in cui il cittadino si riconosce con fierezza.
Ora che l’arte è merce preziosa, racchiusa in collezioni private e nei musei di città all’uomo sempre più indifferenti, al cittadino può succedere tutt’al più, sfiorando un muro, di scorgere la propria ombra, pur senza prestarvi attenzione.
Eppure Giorgio De Chirico sostiene che nell’ombra di un uomo che cammina al sole ci sono più enigmi che in tutte le religioni del mondo. E la sua pittura metafisica ha svuotato le piazze delle persone e le ha riempite d’ombre.
L’ombra è un’immagine, una rappresentazione dell’oggetto che fa ombra, ma – scrive Roberto Casati – può anche fare le veci dell’oggetto che la proietta e diventarne un duplicato nella nostra testa. L’ombra partecipa insieme del dipartimento degli oggetti e di quello della psiche, diventando immagine dell’anima. Segno della sua complessità, essa dice il mistero stesso dell’uomo.
Così Jung sostiene che ognuno è seguito da un’ombra, che quanto più è ignorata tanto più si fa densa e scura. Rainer Maria Rilke lamenta il venir meno del corpo per via di una svaporazione continua che lo consuma. Il corpo evapora emanando da sé un’ombra che resta annidata nei pori della materia da cui può sempre emergere come comunicazione di “assenza”, come sa bene chi si imbatte per esempio nell’oggetto della consuetudine di una persona amata e lontana, che questo fortemente gli evoca; “forse è la mia forma d’ombra / che secerno” scrive Andrea Zanzotto in un rapido clic autobiografico.
L’installazione Incontro con l’ombra con la quale da decenni giro le città del mondo, è fatta essenzialmente di uno schermo e di uno spot che, azionato inavvertitamente dal passante, gli soffia l’ombra sul telo che la trattiene a lungo, staccata dai movimenti del corpo. La scoperta della propria ombra emancipata è un piccolo shock visivo in cui l’ombra emancipata appare come un doppio e suscita sorpresa e interrogazioni. L’ombra emancipata offre un’immagine inattesa che diventa in pochi istanti scoperta di un altro se stesso. Di quel sé, molte volte solo e anonimo, che trasciniamo in mezzo agli altri nel nostro perpetuo e sfuggente affrettarci quotidiano, del quale resta solo ciò che lascia immagine.
L’installazione dà nuova immagine alla cosa più sfuggente dell’uomo – la sua ombra – fermata in un attimo qualunque ma irripetibile dell’esistenza, per lasciarla poi svanire lentamente sotto gli occhi dello spettatore.
L’installazione, quando è all’esterno, si trasforma fatalmente in un teatro di nuove relazioni tra spazio urbano, memoria e inconscio in cui tra i passanti si improvvisano giochi di ruolo con la propria ombra e azioni di gruppo. Se agìta in un interno, invece, concede la possibilità di una solitaria e intensa comunicazione con se stessi, avvicinando così più fortemente l’esperienza della scomparsa.
La scoperta dell’immagine inattesa e l’evento del suo lento venir meno sono l’oggetto dell’operazione incontro con l’ombra e la fonte della sua forza emozionale.